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Il magico bosco delle parole

C’è stato un tempo in cui, in un grande bosco incantato, era possibile assistere periodicamente alla cosiddetta grande magia delle parole. Di che cosa stiamo parlando?

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              È presto detto; ogni mese sotto l’attenta visione del custode, chiamato non a caso Gran Paroliere, gli uomini potevano andare a raccogliere nella misteriosa boscaglia, le parole che ritenessero più utili al loro parlare quotidiano. A loro era lasciata la difficile scelta. Il posto, infatti, era disseminato di una varietà enorme di piante da cui ciascuno, secondo i tempi stabiliti, poteva raccogliere liberamente le parole ritenute necessarie.

 

         Per chi si avventurava lì la prima volta, era possibile vedere piante altissime svettare verso il cielo; da esse erano prodotte parole dal fare elegante e luminoso. Accanto a tanto vigore era possibile trovare anche arbusti bassi e robusti, i cui frutti erano parole tondeggianti e solide come i significati che portavano. C’erano infine cespugli intricati e pieni di spine, le cui parole erano frutti aspri alla pronuncia e al significato.

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              Il Gran Paroliere, ogni mese si divertiva a osservare come le persone scegliessero le parole che sembravano loro più necessarie a vivere. Puntualmente si ripetevano le stesse scene davanti ai suoi occhi. La sua attenzione era però rivolta a quattro personaggi in particolare.
 

             Il primo della lista era Piero, uomo dalla strana frenesia; solitamente raccoglieva nel suo cesto una quantità enorme di parole. Correva e s’affannava nel tempo stabilito per la raccolta, fino a uscire dal bosco con un cesto stracolmo e lo sguardo comunque in ansia.
 

           C’era poi Ugo, uomo silenzioso e timido; a tempo opportuno, con lo sguardo basso, entrava nel bosco e ne usciva, molto prima del tempo stabilito, con poche parole nel cesto. Ogni mese si affacciava poi Giuseppe, con un gran sorriso; salutava cordialmente il Gran Paroliere con l’ultima parola rimastagli e opportunamente lasciata per l’occasione. Raccoglieva un buon numero di parole, senza mai esagerare e scegliendole con calma e premura.
 

              Infine c’era un ultimo personaggio che il custode del bosco vedeva passare ogni mese. Di lui non era dato sapere il nome, non tanto perché non parlasse quanto perché rispondeva sempre e solo con brutte parole a chiunque gli si rivolgesse. Era decisamente un antipatico. Il suo cesto al termine della scelta era abbastanza pieno, ma conteneva soltanto parole dure e aspre.
 

             Un giorno di raccolta, un gran vento sorprese gli uomini intenti nella selezione delle parole; la corsa per rientrare in fretta nelle proprie case, fece sì che molti confondessero i cesti tra di loro e che fossero riportate parole raccolte da altri. Avvenne così anche per i quattro personaggi tanto amati dal Gran Paroliere.
 

               Sbirciando in casa dell’antipatico, lo si poteva così vedere in gran confusione per il raccolto trovato nel cesto. C’erano parole gentili e dal bel suono; sicuramente, pensò l’uomo tra sé, quelle dovevano essere le provviste di Giuseppe. Non volendo però andare a chiedere l’eventuale cambio, si adattò a usare ciò che aveva trovato nel cesto. La cosa che lo lasciò di stucco, fu che termini come “per favore, scusa e grazie”, solitamente usati con successo da Giuseppe, non avessero lo stesso effetto sulla sua bocca. L’arcano in realtà non era così misterioso per il Gran Paroliere; infatti, non essendo cambiato il tono cupo e lo sguardo torvo dell’antipatico, esse perdevano la loro naturale magia buona e dopo un primo momento di stupore, le persone a cui erano rivolte, se ne andavano ancor più tristi e confuse. L’antipatico non riusciva a capirne il motivo, invece chiarissimo al Gran Paroliere: le parole trovano forza nel tono e anche nei gesti di chi le pronuncia; ma il pover’uomo dal cuore di pietra, non era ancora riuscito a capirlo.

 

                 Da parte sua Ugo, come al solito timido e silenzioso, si trovò, diversamente dal consueto, un cesto stracolmo di parole dai significati più variegati. Cominciò a incastrarle tra loro e a farne un uso regolare; lo sguardo dapprima basso e timido, si fece via, via più coraggioso e sorridente vedendo come la gente si fermasse ad ascoltare con piacere le frasi che aveva saputo creare con il raccolto avuto in fortuna. La sua sensibilità aveva vinto sulla timidezza e le parole in dotazione avevano aiutato a far emergere il bello nascosto in lui.
 

             Il buon Giuseppe, per sua sventura, si ritrovò in casa il cesto dell’antipatico: poche parole in dotazione, per la maggior parte “no” e “ non voglio”. L’iniziale confusione, non vinse il buon umore dell’uomo che si convinse che anche quelle parole potevano essere utili, se accompagnate da dei bei sorrisi e date come risposta alle giuste domande. Così i “no” e i “non voglio”furono usati per opporsi a ingiustizie e prepotenze. Per il resto Giuseppe riempì il silenzio delle sue giornate di buoni pensieri e di bei gesti nei confronti degli altri e questo non rese la sua vita meno ricca in quel mese.
 

                 Piero fu quello che rimase più male al suo rientro a casa; la scoperta di avere in dotazione un cesto diverso dal suo, dapprima lo fece arrabbiare e poi lo spaventò visto lo scarso numero di parole contenuto in esso. Fu tale la paura di restare isolato a causa dell’accaduto, che per l’ansia consumò ancora più in fretta, quanto aveva avuto in dotazione. Gli rimase soltanto una parola, incastrata nel fondo del cesto: AIUTO. Piero non voleva pronunciarla. Era abituato a parlare tanto, ma anche a non dire molto di sé. AIUTO era una parola troppo potente. Stette quindi per giorni in silenzio, sentendo crescere dentro di sé un senso di vuoto senza avere parole da dire per colmarlo; quando non ne poté più, decise di usare l’unica che gli era rimasta. Non solo la pronunciò, la urlò tanto era disperato. Il suo grido non passò inosservato e in tanti andarono a casa di Piero per consolarlo e offrirgli qualcuna delle proprie parole

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                  L’uomo sentì sciogliere la paura che stringeva il suo cuore e tanta era la gioia che provò per la solidarietà avuta, che non ebbe bisogno di pronunciare alcuna parola; gli bastarono abbracci e sorrisi per l’intero mese.

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